Sono tornato in Svizzera… per un giorno!

ottobre 12, 2010

Oggi è martedì, ma visto che sia ieri che venerdì scorso era vacanza conta come un pesantissimo lunedì. Per sopportare il passaggio della vita normale dei week-end al rientro alla vita artificiale e iper-formale dell’ufficio occorre dunque una giusta terapia che comprende una lettura in rassegna delle principali testate giornalistiche regionali ed internazionali (NZZ, Corriere, CdT, ansa,…) e se ho qualcosa da scrivere e sono dell’umore giusto un’aggiornamento del mio blog, con l’obiettivo di riuscire a fornirvi almeno 4 post per mese.

La parte prima della terapia si è appena conclusa con notizie che ricalcano più o meno quanto si legge negli ultimi tempi: la politica segreta americana di lotta contro il “terrorismo” (di cui ne viene rivelata sono una minima e insignificante parte), l’incapacità del Giappone di condurre una politica estera (specie nei momenti di tensione), le solite discussioni sulla Cina (potenza economica, presunta mancata libertà di stampa,…) e le classiche notizie regionali, dall’incidente della circolazione al politico che fa scandalo per attirare l’attenzione degli elettori. Ora parte due. Per fortuna oggi ho molte idee riguardo a quello che posso scrivere e anche l’ispirazione che fino a poco tempo fa ancora mi mancava, come la fame, mi sta venendo scrivendo. Oggi si profila una giornata molto pesante del punto di vista di reinserimento alla vita lavorativa, non solo perchè, come detto, sono reduce da 4 giorni di vacanza (con due notti passate “dormendo” in un bus nottorno), ma anche perchè si è trattato di 4 giorni molto gradevoli e pieni di avvenimenti non del tutto comuni.

Inizio quindi dal fondo, partendo dall’ultimo dei 4 giorni di vacanza, forse la sorpresa più grande e uno dei viaggi (purchè brevi) più piacevoli fino ad adesso in Giappone. Il viaggio inizia alle 7.37 alla stazione JR di Akashi, nel Giappone occidentale, sulla costa dello Honshu, l’isola principale del Giappone, dove vivo io e la maggior parte della popolazione nipponica. Ma però occorre forse fare un saltino indietro per raccontare di come ci sono arrivato fino a lì. Niente che abbia a che vedere con il viaggio di cui intendo parlarvi, ma qualcosa che offre credibilità ai contenuti già discussi in questo blog e spiega perchè oggi sia particolarmente stanco e poco motivato al lavoro. Domenica sera mi trovavo ancora a Tokyo, dove mi ero recato per un matrimonio di un’amica (di cui spero di avere il tempo di riferire). Ad Akashi ci sono arrivato con un bus nottorno, uno dei modi più popolari ed economici in Giappone per spostarsi tra le grandi città senza perdere tempo prezioso per il viaggio stesso. Caso più unico che raro sono arrivato con un largo anticipo rispetto all’orario di partenza del bus (visto che di solito rasento la perfezione, non che sia un vanto, arrivato non prima di qualche minuto di anticipo) è ho aspettato dapprima fuori e poi nel bus la partenza dello stesso. Caso anch’esso piuttosto strano il bus esitava a partire e 10 minuti dopo la partenza prevista di trovava ancora fermo con il motore acceso al lato della strada. Fino a quel momento ero l’unico ad avere il posto accanto libero, anche se sullo schema appeso all’entrata risultava occupato. Era evidente quindi la ragione per la quale il bus stava aspettando e con il passare dei minuti aumentava la speranza che quell’individuo non si presentasse e il bus partisse lasciandolo a Tokyo. Cresceva però anche un certo dubbio vista la tarda ora (23.30), cioè quello che… ecco il mio dubbio prensentarsi: aspetto distrutto, camiche e pantaloni macchiati e camminata che tenta di nascondere un andamento barcollante. Entra si scusa e prende il posto di fianco al finestrino. Dopo avere passato un quarto d’ora lamentadosi a voce alta di essere stanco arriva l’apice vomitando per terra… (per fortuna in modo non eccessivo e senza esserne colpito). Non essendoci altri posti liberi dopo che fosse stato, pulito avere fatto un’ora di viaggio nel posto del secondo conducente ed avere sentito le continue minacce a scendere rivolte al mio vicino dall’autista mi è toccato tornare al mio posto e “dormire” da parte ad un’animale che non stava mai fermo e di tanto in tanto russava allegramente.
In sintesi se già non avevo una grande stima per quei giapponesi maschi, giovani, incapaci e loquaci solo quando ubriachi la mia considerazione ha raggiunto livelli storici. Per fortuna però qui in ufficio i rapporti con i colleghi migliorano (anche se sempre molto lentamente) e ho capito (in contrasto all’apparenza) è molto più facile avere a che fare con gli adulti (o gente di mezza età) che con i giovani (sempre per quanto riguarda gli uomini).

Arrivo quindi ad Akashi piuttosto distrutto ma motivato dalla bellissima giornata e trovando Kana puntuale ad aspettarmi all’uscita. Kana è un’insegnante volontaria di giapponese della scuola che frequento ogni giovedì sera. Condivide con me la passione per i viaggi ed ha il grande pregio di essere anche capace di viaggiare, non limitandosi, come molti giapponesi a prendere foto di attrazioni turistiche e comprare i souvenir per poi tornare subito a casa per la via più veloce (e spesso più trafficata) senza avere veramente visto o avere un ricordo particolare del luogo dove si è stati. Kana, nonostante all’apparenza possa essere una giapponese d.o.c. (in particolare visto il lavoro molto tradizionale che fa, produzione di o-kashi, dolcetti tipici giapponesi) invece ha gusto e sa apprezzare il viaggiare come esperienza del trascorrere, piuttosto che limitandosi solamente al raggiungimento della metà. Inoltre, fatto non comune tra i propri conpaesani, conosce molti luoghi poco conosciuti ma altrettanti interessanti. In breve un’ottima compagna di viaggio.

Compriamo una scarsa colazione in un piccolo supermercato a due passi dalla stazione, saliamo in macchina, Kana accende il motore e si parte, direzione Shikoku! Dopo avere letto un libro di Murakami (“Kafka sulla spiaggia”) e vista la vicinanza geografica era da un po’ che sognavo di andare nello Shikoku. E la più piccola delle principali isole giapponesi, poco conosciuta come destinazione turistica e poco frequentata per le difficili vie di accesso (l’auto è indispensabile). La si raggiunge passando il Kaikyo, il ponte sospeso più lungo al mondo (con la campata principale di quasi 2 km). 4 km di ponte che collegano lo Honshu con l’isola di Awaji-shima, passando per la quale, in un’oretta si raggiunge finalmente lo Shikoku.

Se l’immagine del Giappone (erroneamente) è spesso associata a città e fabbriche (e purtroppo a volte si limita alla sola realtà urbana di Tokyo), lo Shikoku rapprensenta il vero Giappone, quello di cui è composto la maggior parte del suo territorio, ovvero boschi, boschi e boschi e poi ancora boschi e risaie e luoghi dimenticati dal tempo e dalle guide turistiche. Lo Shikoku ricorda moltissimo la Svizzera, le strade salgono sulle montagne compiendo curve e tornanti, qualche casetta si intravede ai bordi e fiumi color zaffiro scorrono per le valli scavate dal trascorrere delle ere. Sembra che in Giappone in nessun luogo come nello Shikoku ci si possa perdere al punto di non trovare più la strada del ritorno. Ovviamente le strade asfaltate ben tenute conducono ovunque in maniera chiara ed efficiente, ma esiste ancora molta gente nello Shikoku che vive dei prodotti della terra, sufficientemente lontano dal mondo frenetico della città per non sentirne il fastidioso e continuo fruscio. Percorrendo le strade che uscendo dalle vallate principali si inoltrano nel verde delle montagne non possono che riafforarmi in maniera chiara e limpida le immagine della Svizzera e i miei frequenti viaggi tra i passi che collegano i cantoni alpini. Gruppi di motociclisti che si salutano incrociandosi, ciclisti lucidi dal sudore intenti a compiere la loro sfida quotidiana, il rumore dello scorrere dei fiumi, i colori della natura ancora sana e inconbente delle minacce che la attende, giapponesi a fare foto ai bordi della strada (ormai siamo abituati anche a quelli in Svizzera e indovinate… si trovano anche in Giappone!)…

Rimane piacevolmente incredibile il modo in cui in Giappone i paesaggi si cambiano e si susseguono in pochi attimi. Bastano poche ore di auto per passare dai uno dei centri dell’economia mondiale come Osaka o Kobe, attraversare un ponte fiore all’occhiello della moderna ingegneria che ricorda una foto di San Francisco o New York, seguire un susseguirsi quasi infinito di risaie e case scure di legno per poi immergersi tra le montagne e raggiungere un modo tutto nuovo e misterioso. Lo Shikoku è senza dubbio una delle sorprese più gradite che mi siano capitate fino ad ora in Giappone. Dopo avere sempre visitato città e tempi un po’ di natura in buona compagnia era decisamente quello che ci voleva. Peccato però avere dovuto fare il tutto nell’arco di un solo giorno.

Viaggiando verso lo Shikoku decidiamo di andare verso la metà più nota con l’idea di cambiare poi i piani strada facendo. Non essendoci molto sullo Shikoku ed essendo poco documentato almeno per la prima volta decidiamo di andare sul sicuro e fare perlomeno la via dei turisti. Infatti raggiungiamo il ponte sospeso in liane che è una delle attrazioni della zona. La gente arriva, parcheggia, va al ponte, paga il pedaggio, lo attraversa, passa per il centro souvenir e rientra. Obiettivo raggiunto: foto sufficienti per mostrare agli amici di esserci stato e souvenir per i colleghi comprati. Non rimane altro da fare. Come al solito in Giappone basta procedere poco oltre. Il fiume che scorre sotto il piccolo ponte sospeso in liane e limpido e pulito come acqua di sorgente, la giornata stupenda e Kana ha preparato l’o-bento (“pranzo al sacco” giapponese) per entrambi. Decidiamo quindi di fare pranzo al fiume e io mi decico alle mie classiche attività ingegneristiche costruendo una piccola diga un po’ affrettata. Quando rientriamo in macchina Kana mi fa notare: “Sai, quando sono venuta con i miei amici (giapponesi) non siamo stati più di mezz’ora: parcheggio, ponte, foto e rientro. Eppure siamo rimasti al fiume quasi 3 ore senza far niente, senza nessuna “attrazione” e il tempo è comunque volato.” E bello essere europei, penso io!

Al ritorno mi viene un’idea delle mie: Kana ha preso una bicicletta pieghevole che si porta sempre con se quando fa dei viaggi in auto. Un’ottima idea se si vuole girare per un paesino o si vuole scoprire un luogo fuori delle tracce battute. Mi ricordo che la strada che arriva al ponte di liane era parecchio in salita all’andata e piena di curve. “E se la facessimo in bici scendendo? Uno in bici e l’altro guida, poi ci diamo il cambio!”
60 km/h con una bici pieghevole tra le curve di un passo di montagna che potrebbe aprirsi a momenti era proprio quel genere di cose che mi mancavano in Giappone. Un modo poi per chiudere una giornata unica e forse l’ultimo giorno di vacanza estivo.

Lo Shikoku è decisamente un mondo dove intendo tornare e ho già anche una vaga idea di chi potrebbe tenermi compagnia…

Dal quinto piano del centro ricerche avanzate Mitsubishi di Amagasaki è tutto,
Un saluto, Feli e Hara (che ha assistito spiritualmente alla mia composizione sbirciando di tanto in tanto al mio computer)